Fanghi in agricoltura: ignorata la volontà del Consiglio Comunale e di quello Regionale

Con la recente approvazione della D.G.R. nº X/7076, Regione Lombardia ha fissato nuovi limiti per i parametri da considerare per l’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura; in particolare, la Giunta Maroni ha alzato il valore massimo ammesso per gli idrocarburi, portandolo da 50 a 10.000 mg/kg: un aumento di ben 200 volte!

Questa scelta delinea uno scenario allarmante dal punto di vista ambientale e sanitario e getta nuove ombre sulle vicende giudiziarie della C.R.E., visto che consentirebbe di sbloccare i fanghi depositati negli stabilimenti di Meleti e Maccastorna dal giorno del loro sequestro, dovuto all’arresto del titolare e di alcuni dirigenti per traffico illecito di rifiuti.

Tutto ciò ha suscitato le proteste delle amministrazioni che negli ultimi due anni, spinte dai comitati ambientalisti e dalla campagna informativa #NonInfanghiamoci promossa dal M5S, si erano attivate per introdurre strumenti normativi atti a limitare lo spargimento dei fanghi sui propri territori.

Alcuni comuni, con Lodi Vecchio in prima fila, hanno presentato un ricorso al TAR contro la scelta della Regione e hanno scritto un appello al Senato per sollecitare l’iter di una legge che regoli il settore: Casalpusterlengo partecipa a queste azioni e questo è apprezzabile.

Lo stesso non si può dire però della poca considerazione per la Mozione votata all’unanimità dal Consiglio Comunale ormai un anno fa. Tra le azioni approvate c’erano l’inserimento nel PGT del limite per lo spandimento entro 500 metri dalle abitazioni (per ora aggiunto solo al Regolamento di Igiene Urbana) e l’attivarsi con la Regione per sollecitare un monitoraggio sullo stato dei suoli e la creazione di protocolli di controllo.

Esistono già esperienze di Comuni che hanno adottato un regolamento, come quello redatto dal Comitato Tutela Suoli Agricoli Lombardi la scorsa primavera. I punti salienti sono: spandimento vincolato alle analisi dei terreni effettuate prima e dopo, distanza minima fino a 500 metri dai centri abitati, divieto di spandimento la domenica e i festivi, obbligo di pubblicare annualmente i dati quali-quantitativi degli spandimenti di fertilizzanti e obbligo per le aziende di informare i comuni ogni 15 giorni.

La stessa mancanza di rispetto per quanto votato da un Consiglio, in questo caso Regionale, l’ha dimostrata anche l’Assessore all’Ambiente Terzi. Alcuni mesi fa, su proposta del M5S, la Lombardia si era impegnata a scrivere delle linee guida per i comuni, per sostenerli nell’adozione di un regolamento sulle modalità di spandimento dei fanghi in agricoltura. Ieri però, rispondendo a un’Interrogazione del M5S, l’Assessore all’Ambiente ha detto che ha cambiato idea e la Regione non creerà più le linee guida.

Che sia un Consiglio Comunale o Regionale, così non va bene! Bisogna rispettare l’impegno formale votato dai Consiglieri. A Casale come in Regione, andremo avanti con tutti gli strumenti che abbiamo per far rispettare quanto deciso dagli organi istituzionali. Nel frattempo invitiamo il nostro Comune a valutare comunque l’adozione di un regolamento e a chiedere conto alla Regione dell’impegno disatteso.


Ma cosa sono i fanghi di depurazione e come si è arrivati alla situazione odierna?

L’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura, è una pratica piuttosto controversa: nasce per rispondere all’esigenza di smaltire i reflui urbani, reimmettendoli nell’ambiente, dopo un adeguato trattamento, sotto forma di concime. Benché il loro impiego come fertilizzanti sia considerato dall’Unione Europea rispettoso dell’ambiente, vi sono delle criticità riconducibili alla possibile presenza in essi di composti organici nocivi, metalli pesanti e microrganismi patogeni.

Ai sensi del Testo Unico, i fanghi di depurazione sono classificati come rifiuti speciali e come tali, il loro impiego in agricoltura è disciplinato dalle Regioni, in base alle competenze delegate dallo Stato e in ottemperanza al D.Lgs. n° 99/1992. Alle Regioni spetta il compito di rilasciare le autorizzazioni per le attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento; stabiliscono ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi; le distanze di applicazione rispetto ai centri abitati, agli insediamenti sparsi, alle strade, ai pozzi di captazione delle acque potabili, ai corsi d’acqua superficiali. Il tutto tenendo conto delle caratteristiche dei terreni e della loro ricettività, delle condizioni meteo-climatiche della zona e delle caratteristiche fisiche dei fanghi impiegati.

A vanificare l’azione di controllo di qualità dei fanghi, esercitata da ARPA e dagli Enti preposti a vigilare affinché i valori limite delle sostanze potenzialmente nocive vengano rispettati, è la facoltà, per i centri di depurazione e stoccaggio, di poter auto-certificare le analisi. Una modalità che ha incentivato il ricorso ad attività illecite legate allo smaltimento rifiuti, alcune delle quali rese note in seguito all’indagine avviata dal NOE in Lomellina, che nell’estate del 2016 ha portato all’arresto dei vertici della C.R.E. S.p.A., la più grande impresa di trattamento fanghi d’Italia e al sequestro degli impianti di Meleti, Maccastorna e Lomello.

Secondo le accuse, il Centro Ricerche Ecologiche (!) ha autorizzato, illegalmente, lo sversamento di grosse quantità di fanghi di depurazione, recuperati tra quelli regolarmente trattati dalla loro società, riversandoli poi sui terreni agricoli privi di qualsiasi trattamento, con l’obiettivo di risparmiare sugli abituali costi di smaltimento. Un illecito che ha permesso alla C.R.E. di realizzare un profitto di 4,5 milioni di euro e di spargere, grazie anche alla compiacenza di alcune aziende agricole coinvolte poi nell’indagine, 110.000 tonnellate di rifiuti speciali sui terreni, contaminandoli da metalli pesanti e, in generale, da sostanze nocive, anche per il cosiddetto “effetto cumulo”.

L’assenza di una legge efficace a livello nazionale e il fallimento del sistema di controlli pubblici, hanno compromesso in maniera significativa il ricorso alle attività di spargimento fanghi e causato un danno irreversibile ai nostri terreni agricoli, soprattutto nelle provincie di Pavia e Lodi, terre votate alla produzione agricola e che accolgono più della metà dei fanghi prodotti nell’intera Lombardia.

Dopo tre anni di battaglie portate avanti dal M5S e dai comitati ambientalisti, per sensibilizzare la cittadinanza e le istituzioni sul pericolo di contaminazione irreversibile del patrimonio agricolo e dopo che sembrava essersi aperto un piccolo spiraglio a garanzia di maggiori controlli, Regione Lombardia ha deciso di dare il colpo di grazia, autorizzando lo spargimento di fanghi altamente inquinati.

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